Angelique Rouge La reazione dell'ex agente fu più che spontanea. Inorridita e disgustata, aveva semplicemente tirato una testata direttamente sul naso dell'uomo. Nonostante la stazza, nemmeno lui resistette al dolore che solo la rottura della cartilagine può provocare. Allentò perciò la presa sui suoi polsi e ricevette quindi una gomitata sul neurocranio. Erano colpi relativamente semplici ma piazzati in zone sensibili. Usando le gambe come leve, riuscì a liberarsi dal peso del maniaco e ad allontanarsi, da seduta, da lui. Non appena si interruppe il contatto fisico tra i due, i capelli di Angelique ripresero a crescere. Tra le dita della mano la rossa avvertì ciò che fino a qualche attimo prima era stata la sua treccia. La rabbia si impadronì di lei.« Un souvenir, eh? Fottuto bastardo! » Nella sua mente con orrore si delinearono vari ipotesi su quali souvenir quel mostro avesse preso alle bambine, chiedendosi se in quei momenti erano ancora vive.« Te lo do io il souvenir! » ringhiò nella direzione dell'uomo, agitando la ciocca di capelli con rabbia, quasi volesse prenderlo a frustrate. Non capì subito perché lo stupratore prese a gridare. Le ci volle un attimo per comprendere che tra le dita non stringeva più semplici capelli inermi ma una frusta cremisi. I capelli, infatti, si erano agglomerati per formare un unica forma semplice e decisamente robusta. Era un'altra capacità della sua chioma, quella?« Puttana... » sillabò lui, tentando di rimettersi in piedi. Angelique non poteva permettere che si rialzasse. Non poteva però pestarlo personalmente o avrebbe di nuovo perso il suo potere e la sua natura mannara. Non poteva nemmeno sfruttare le Glock, disseminate per le scale. No, doveva sfruttare ciò che aveva scoperto di saper fare solo nell'ultimo periodo. Sfruttando sempre la frusta grezza, diede al volto del maniaco un altro colpo e questi si riaccasciò al suolo, dolorante.« Non farai più del male alle bambine » sentenziò, risoluta. Ora che era di nuovo padrona delle sue capacità, Angelique era seria, composta e decisa. Sfruttando l'ennesima frustrata, fece ribaltare a pancia in su l'uomo. Si alzò e con passo rapido si portò davanti a lui, tenendo la sua testa quasi tra le caviglie, stando attenta a non toccarlo. Ora aveva bisogno di qualcosa che lo tenesse fermo e, detto fatto, la frusta prese le sembianze di un bastone. Senza domandarsi nulla, la rossa lo piantò alla gola di Moriyama, per impedirgli di muoversi a meno che non volesse esser trafitto.« Quanto le hai fatte tremare, le bambine? » chiese, aspra ed irata, mentre i suoi capelli si dividevano in quattro fasci e prendevano la lunghezza massima.« Quanto hai fatto loro del male? » La prima punta andò a perforargli la mano destra, inchiodandogliela per terra. L'uomo urlò con tutto il fiato che aveva in gola, tentando di liberarsi, ma la stretta sul collo col bastone non cedeva.« Quanto ti sei divertito a distruggere il loro futuro? » La seconda punta fece lo stesso con l'altra mano, dando al maniaco un nuovo motivo per urlare.« Quanto godevi nel vederle piangere? » La terza punta, inesorabile, penetrò il bassoventre dell'uomo, spappolandogli pene e testicoli. Le urla di Moriyama si fecero ancora più intense ma ormai non aveva più la forza per ribellarsi. Si stava dissanguando.« Quanto dolore hai inferto alle madri di quelle bambine strappando loro ciò che avevano di più prezioso? » La quarta punta gli si infilò in gola, tagliandogli di fatto la lingua. Ormai era alla sua mercé. La rossa rimase quindi immobile in quella posizione, ad aspettare. Lo avrebbe lasciato morire nel modo più doloroso, soprattutto considerando che pure lui aveva capito che così sarebbe finita la storia. Lo guardò sempre negli occhi, osservando come l'orrore e le forze lo stessero abbandonando. Presto non avrebbe sentito più nulla e ciò fece incazzare ancora di più la rossa. Quel mostro meritava di soffrire più a lungo. Dopo dieci minuti, Haru Moriyama non c'era più. Era deceduto all'interno della stazione, dissanguato. Con disgusto Angelique aveva tolto i capelli dalle sue ferite, stando attenda a non macchiarsi di sangue. Tra le mani stringeva ancora la ciocca/bastone che, non appena aveva concluso il suo compito, era tornata morbida e inerme. Meccanicamente la donna salì le scale, recuperando entrambe le Glock e rinfoderandole. A casa avrebbe dovuto vedere in che stato erano e, nel caso, fare qualche intervento di manutenzione. Senza preoccuparsi di esser vista o di occultare il corpo, si diresse verso l'uscita della stazione. La notte era densa, solo la luce dei radi lampioni permetteva agli occhi della mannara di vedere più in là del suo naso. La donna guardò il cielo. Non c'era la luna. Ritornò con lo sguardo sulla strada e prese a camminare a passi decisi verso casa sua. Durante il tragitto si liberò prima della ciocca che teneva in mano, poi dei capelli macchiati di sangue, gettando il tutto in vari cestini. Non voleva portar con sé nulla di quel mostro, se non la convinzione di esser riuscita a fermarlo.